Don Roberto Malgesini, sempre a fianco dei poveri

Silvio Mengotto

A due settimane dall’omicidio di don Roberto Malgesini, ucciso nella sua Como da uno di quei poveri e sbandati che lui conosceva e a cui dedicava cura, tempo e misericordia, c’è chi lo ricorda con affetto e gratitudine. Sperando che il suo esempio non vada perduto

 

 

Gli ultimi erano le persone a cui voleva bene perché a loro nessuno voleva bene. Da anni ogni mattina don Roberto portava loro la colazione e il suo sorriso. Diceva che «i poveri sono la vera carne di Cristo!». E dopo la Messa del mattino li incontrava nelle vie di Como. Un caffè, una brioche, e uno sguardo che diceva, «tu sei importante».

Elena Paltrinieri, di Azione cattolica e volontaria nel Centro di Accoglienza di Morbegno, è amica di Mario, il fratello di don Roberto. «Molte cose – dice Elena – della vita di don Roberto le ho sapute dalla sua famiglia. Praticava la teologia della concretezza, del gesto, del “fare” senza troppa teoria. Un carattere semplice, riservato e modesto. Dopo l’ordinazione sacerdotale lo zio voleva regalargli una stola e un abito talare di prestigio ma lui, sin da allora, diceva che era per le cose semplici, non sfarzose. Aveva un carattere che non amava essere al centro dell’attenzione». 

Nella comunità pastorale della Valmalenco, provincia di Sondrio, opera un gruppo di sacerdoti che hanno conosciuto, e condiviso, il cammino di don Roberto, come don Giusto Della Valle che lo ha ricordato in una lettera pubblica, come don Diego Fognini della parrocchia di S. Pietro di Calaseggio.  «Con coraggio – dice don Diego – bisogna prendersi cura degli ultimi. Questa è la vera continuazione dell’opera di don Roberto. Così il suo sangue versato incomincerà a far sbocciare i fiori dell’altruismo e di vera carità. Saranno portatori di gioia, di serenità chi, in quella brioche e in quel caffè, troverà la sorpresa di rivedere ancora il sorriso di don Roberto». 

Su consiglio del vescovo Diego Colletti, prima di operare nelle strade, don Roberto fa un anno di esperienza nella Casa di carità dove lavora con Fiorenzo De Molli, responsabile del settore “Ospitalità e Accoglienza”. Don Roberto è addetto alla distribuzione dei vestiti dimostrando una notevole capacità di relazionarsi con le persone e i giovani. Semplice e carismatico. «Era un montanaro – dice Fiorenzo – intelligente, con una straordinaria sensibilità. Una capacità spiccata di rapportarsi con le persone, con i volontari. A tutti dava sicurezza e serenità. Una persona bella. C’è poco da fare, era capace di stare con i poveri cristi». «Oggi mi ha colpito – dice Silvia Landra di Casa della carità – la storia di una detenuta di San Vittore, che viene da Como e da poco arrestata, lo ha ricordato in lacrime. Mi ha raccontato di come il “suo” don Roberto al mattino presto portava il tè e i pasticcini a tutti coloro che vivevano sulla strada, come lei. E mi ha detto che moltissimi oggi odiano chi lo ha ucciso. “Ma lui non lo odierebbe”,  ha aggiunto lei, “e quindi anch’io, come lui, posso essere generosa con gli altri, anche qui dentro”». 

Francesca, a tredici anni, con don Roberto, frequentava la mensa del povero. «Era nostro amico – dice Francesca –, una persona che ci ha fatto da padre, maestro e prete. Ci ha insegnato cosa vuol dire vivere la strada con gli ultimi. Invece di accogliere i martiri bisogna accogliere gli uomini. Nel loro quotidiano le rivoluzioni le fanno sotto voce. Ce ne sono tanti, ma non vengono considerati»