Maputo, il terrore nel cuore

Rossella Avella

L’Africa è il continente dove si teme che il virus faccia parecchi danni.  Una mamma racconta come «ogni giorno si lavora per mettere un piatto a tavola, non è facile ma tutti fanno grandi sacrifici per portare avanti la propria famiglia e per far crescere i propri figli». La pandemia è solo l’ennesima prova per un popolo già messo a dura prova da altre situazioni, il mondo non deve dimenticarlo

 

Covid nel mondo e nelle sue periferie. Covid tra la gente povera, lì dove potrebbe rappresentare una bomba a orologeria nel caso scoppiasse, lì dove per ora e per fortuna non ha fatto i numeri alti di decessi come in Europa. Parliamo dell’Africa, dove la pandemia di coronavirus Covid-19 è arrivata ormai da molte settimane, dall’Egitto all’Algeria, dal Cameroon al Mozambico. I dati forniti  a oggi dall’Africa Centres for disease control and prevention (Cdc) rivelano 3.234 casi di Covid-19 confermati in 46 paesi, 83 decessi e almeno 254 guariti. La regione più colpita resta il Nordafrica con 1.249 casi e 60 decessi, seguita dall’Africa australe con 972 e un morto.

La storia di oggi arriva da Maputo, capitale del Mozambico, nell’Africa orientale, al confine con Sudafrica, Zimbabwe, Malawi e Tanzania, una città che porta la mente in un posto lontano, fatto di colori, usi e costumi diversi da quelli europei. Spesso si tende a immaginare queste terre, che in fondo non sono così lontane dall’Italia, come fosse un mondo a parte con persone abituate a essere fin troppo dimenticate e invece ci sono famiglie, madri, padri e figli che con difficoltà maggiori rispetto a quelle di una famiglia italiana, portano avanti la loro quotidianità, e in questo periodo anche loro hanno adeguato il proprio stile di vita a quelle che sono le misure imposte dal governo per far fronte all’emergenza Covid-19. In Mozambico sono stati confermati 162 casi di persone positive al COovid-19 e nessun decesso. Da poche settimane, infatti, hanno riaperto anche la scuola anche se le persone hanno paura, soprattutto perché vanno a lavorare con mezzi pubblici stipati e con una possibilità di contagio molto alta.

«La mia più grande paura? Ogni mattino mi sveglio con il terrore che qualcuno nella mia famiglia si sia contaminato. Secondo il nostro paese non si è in grado di garantire i respiratori per un numero alto di popolazione e questa cosa mi terrorizza perché potrebbe svilupparsi davvero una strage umana nel caso in cui si sviluppasse un contagio con numeri come quelli che si sono presentati in Europa negli ultimi mesi». Così Luisa, una donna madre di un bambino piccolo, racconta la sua vita in questo periodo. Luisa abita nella capitale Maputo dove ogni giorno vive più da vicino l’emergenza coronavirus. 

Qual è stato il momento più difficile? «La fase un po’ più complicata è stata l’accettazione. L’idea che tutto stava cambiando e che continua a cambiare, perché la nostra vita per molto tempo non sarà più quella di prima. Un momento particolarmente difficile, inoltre, è stato dover spiegare a mio figlio che sarebbe rimasto a casa per molto tempo. Qui la scuola comincia a febbraio e all’inizio l’educatore scolastico aveva spiegato a tutti gli alunni che non sarebbero più andati a scuola perché c’era il coronavirus. I primi giorni ci ha pensato il maestro di scuola a spiegare la situazione e mio figlio. Sono passati però i giorni e ora mio figlio chiede di portarlo a scuola. Per fortuna le scuole hanno riaperto ed è tornato a giocare con i suoi amici». 

Le persone utilizzano i dispositivi di protezione? «Sì, abbiamo delle mascherine, ma non bastano per tutta la famiglia. Per questo motivo alcune persone continuano a girare senza protezione. Il governo ci ha detto di mantenere le distanze, e che non si può partecipare a feste o riti religiosi, ma possiamo andare a lavorare come sempre. Qui ogni giorno si lavora per mettere un piatto a tavola, non è facile ma tutti fanno grandi sacrifici per portare avanti la propria famiglia e per far crescere i propri figli». Insomma, la pandemia è solo l’ennesima prova per un popolo già messo a dura prova da altre situazioni, il mondo non deve dimenticarlo».