Moussa, fratello senza nome

Paolo Iannaccone

Viviamo in un’epoca dove i nomi di persona li diamo anche ai cicloni tropicali, ma fatichiamo a riconoscerli alle persone pur sconosciute.
Non so nemmeno io quale sia il tuo nome, se Didier, Fatou, Habib, Ibrahim, Moussa o Thierry. È importante, però, che si conosca quel poco che si sa della tua storia perché la tua morte non sia vanificata e cada nell’oblio, nell’anonimato.

Hai dieci anni o giù di lì e vivi in Costa d’Avorio, paese protagonista di una guerra civile durata dal 2002 più di dieci anni e che ha visto tremila vittime; un paese di 22 milioni di abitanti divisi in una sessantina di etnie, per cui è facile lo scoppio di guerre locali di cui spesso in Europa non arriva nemmeno l’eco (non è un caso che gli ivoriani siano al quarto posto per sbarchi sulle coste del Mediterraneo e al terzo posto tra i paesi col maggior numero di richiedenti asilo in Europa, dietro Siria e Nigeria); un paese letteralmente appeso ad un filo, carico di tensioni e il cui processo di riconciliazione è ancora lontano dall’essere realizzato dopo decenni di divisioni, guerre e tensioni; un paese dove, nonostante i dati ufficiali (che non rivelano mai il sommerso), c’è un alto indice di disoccupazione anche a causa della presenza nel floridissimo campo agricolo delle multinazionali; un paese dove quattro persone su dieci vivono sotto la soglia di povertà e i ragazzi fuggono in massa verso l’Europa.

Ecco tu sei uno di questi che c’ha provato, per cercare un abbraccio familiare nella folta comunità ivoriana parigina hai “preso” il volo da Abidjan e sei atterrato nella capitale francese, al Charles de Gaulle. Ma non hai fatto un volo come gli altri passeggeri, seduto su una comoda poltrona. Non te lo potevi permettere. Il tuo volo lo hai fatto sul carrello dell’aereo. Ti hanno trovato solamente all’arrivo, ormai privo di vita a causa di un probabile assideramento.

Non so quale sia il tuo nome, se Didier, Fatou, Habib, Ibrahim, Moussa o Thierry. So solo che la tua vita, a dieci anni carica di futuro, ci parla di sogni spezzati; so solo che il tuo paese, una delle economie più floride del continente africano, ci parla di popoli depauperati e stremati dall’ingordigia dei potenti.

In questo inizio di 2020 ti voglio chiamare per nome, come si fa con un amico, con un fratello. Ciao, Moussa, e che i tuoi sogni volino su altre ali perché su questa terra, nella tua terra prenda dimora la giustizia e la pace.