Una difficile convivenza

Marco Testi

Quel tempestoso rapporto tra letteratura e cinema

 

I rapporti cinema-letteratura sono stati sempre tempestosi, ma questo è nelle cose: il cinema privilegia lo sguardo verso fuori, la visività, il romanzo lo sguardo dentro sé, l’immaginazione, la fantasia che non vuole incontrare limiti, come accade in quell’immagine fissata sulla pellicola. E ce ne sono state di trasgressioni, fino a quelle radicali: al festival del Cinema di Venezia del 1910 la regista americana Julie Taymor cambiò sesso a Prospero, protagonista della Tempesta di Shakespeare, che divenne una colta e problematica maga. Ma anche quando le trasgressioni non sono così evidenti i risultati non cambiano: lo scrittore non è mai contento. È accaduto al Giorgio Bassani del Giardino dei Finzi-Contini che ritirò il proprio nome dalla sceneggiatura del film di Vittorio De Sica, eravamo nel 1970: eppure quel film non tradiva in modo sfacciato lo spirito del racconto. Molto da ridire ebbe anche Helen Lyndon Goff, in arte Pamela Lyndon Travers, che quasi svenne quando capì ciò che Disney aveva in mente di fare del suo celebre libro Mary Poppins. Il libro in effetti era tutt’altro che una danzante storiella di canzoncine e tate mordi e fuggi: la Mary narrata arriva in una casa piuttosto povera, è piuttosto brusca e ha a che fare con quattro bimbi, due sono in fasce, che nel film si riducono a due. La Mary di carta inoltre parla con gli animali e assiste a colloqui tra bimbi e uccellini che la ragionevolezza legata alla crescita interromperà per sempre. Il messaggio del libro è che Mary è una grande madre che celebra la comunione con il tutto: «siamo tutti un’unica cosa, tutti ci muoviamo al medesimo fine. Ricordati questo, quando ti sarai dimenticata di me, bimba mia» dice il cobra alla bimba in un episodio del libro che, inutile dirlo, nel film di Robert Stevenson, 1964, non appare.

Mary Poppins appartiene a quella particolare dimensione in cui il film è molto più conosciuto del libro: si pensi a Visconti che sbancò i botteghini nel 1963 con quel Gattopardo che era stato un grande, e incompreso ai suoi tempi, soprattutto dagli editori “politici”, romanzo del nobiluomo Giuseppe Tomasi di Lampedusa. La scena che colpì l’immaginario collettivo di allora, e che rese celebre il film, fu quella del ballo, ma nel romanzo vi erano episodi molto più suggestivi e profondi, come quello della morte del protagonista, nobile ma anche dilettante astronomo, che vede arrivare dal cielo un’immagine femminile venuta a portarlo via con sé. Ma anche questa non era una scena adatta alla sontuosità aristocratica della visione filmica.

Le grandi feste, se è per questo, hanno da sempre attirato i registi: pensiamo a quelle narrate nei diversi film tratti dal romanzo di Scott Fitzgerald Il Grande Gatsby, che danno l’idea di una danza sull’orlo del baratro non solo della grande depressione, ma di una vita insulsa e fatta solo di apparenze. Per non parlare, in ambito neorealista, di quel celeberrimo Ladri di biciclette, ancora una volta regista De Sica, che, molti lo ignorano, viene da un romanzo di Luigi Bartolini, artista, incisore, oltre che scrittore, terminato nel 1946.

Ma, per stare con i piedi nell’oggi, come dimenticare le polemiche sulla “riduzione”, si fa per dire, del best seller di Umberto Eco, Il nome della rosa, diretta da Giacomo Battiato in una serie per la tv? Già il film con la regia di Annaud, nel 1986, aveva causato mal di pancia ai puristi, anche perché, diciamocelo, è estremamente difficile “ridurre” un racconto filosofico a un giallo medioevale; bisogna pur dire che, mescolando i generi tra di loro, Eco aveva disseminato il suo romanzo di questo tipo di “trappole”. Anche Cime tempestose di Emily Bronte è stato saccheggiato dal cinema, che ne ha proposto negli anni letture affettive, visionarie, noir, quasi spettrali, per non parlare di Piccole donne, di cui abbiamo oggi una ennesima versione nei nostri cinema, di Louisa Mary Alcott, che risale al 1868 e che spesso è stato tradito nella sua narrazione di come la guerra (quella di secessione americana), l’affacciarsi del rischio povertà, la crescita, i fantasmi interiori possano influire sul carattere dei giovani. 

E vogliamo dimenticare il fascino di Giulietta e Romeo da sempre aleggiante nel cinema? Ogni lettura è un tradimento di qualcosa di più profondo che si cela nella scrittura, e che talvolta è ignoto anche agli autori. Figuriamoci quando si tenta di fissare le profondità del libro nelle immagini, quelle e non altre, proiettandole sullo schermo.