Serve ancora la politica?

Gianni Di Santo

Un libro appena pubblicato dall’Ave aiuta a ripensare la grande politica, quella con la "P" maiuscola. Gioele Anni e Roberta Lancellotti ci conducono per mano, attraverso dieci interviste ad amministratori locali e politici nazionali, a trovare nell'impegno politico le ragioni della "buona battaglia". Fedele al prossimo e al bene comune

«Per gli italiani del secondo dopoguerra fare politica aveva avuto il significato di istruirsi, leggere, viaggiare, conoscere il paese, incontrare altre persone, amare. Insieme ai partiti, c’era il reticolo di organizzazioni, sindacati, associazioni, rappresentanze di categoria, milioni di iscritti e di associati. Così si muovevano anche le organizzazioni del laicato cattolico. Per i cattolici italiani era stata una doppia scuola di democrazia: nella vita civile e nella Chiesa. La generazione della Costituzione e quella del Concilio venivano così a coincidere». 

Nella bella introduzione di Marco Damilano, direttore de L’Espresso, c’è tutto il senso di un libro, appena pubblicato dall’Ave, che ha un titolo forte: Serve ancora la politica? Già, perché di bella politica ci piace parlare quando la pensiamo con la “P” maiuscola, quando serve il bene comune, quando è a disposizione di tutti, nessuno escluso. 

Gioele Anni e Roberta Lancellotti, giovani giornalisti cresciuti alla scuola del Msac, hanno raccolto dieci testimonianze, per dare un senso alla parola “politica”, per provare a raccontarla anche in questo tempo difficile segnato dal Covid, seppure, tengono a precisare gli autori, le interviste sono state realizzate prima della pandemia. Dieci uomini e donne di formazione credente, di età diverse, impegnati a vari livelli con incarichi istituzionali, al governo nazionale, locale o europeo, provenienti da vari territori, in rappresentanza di tutti gli schieramenti e di quasi tutti i principali partiti italiani, dal Pd al Movimento 5 Stelle, fino alla Lega e all’Udc. È il ritratto, inedito, di chi ha risposto positivamente alla domanda di partenza mettendosi in gioco. Anna Zambon, Gilberto Zoffoli, la sindaca di Porto Empedocle Ida Carmina, Rita Visini, Alberto Stefani, il sindaco di Taurianova Fabio Scionti, il sindaco di Genova Marco Bucci, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, la ministra della Famiglia Elena Bonetti. Chiude la serie delle interviste Michele Nicoletti, filosofo, docente universitario, deputato Pd nell’ultima legislatura e presidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. 

La ricerca di una “buona” politica risuona in queste pagine, orfane di un racconto collettivo che negli ultimi decenni non ha saputo coniugare bellezza e servizio, giustizia e sviluppo economico, felicità e benessere. Che ha scelto la ricerca irrefrenabile dell’aumento del Pil, relegando il bene comune ai convegni per esperti. Una politica che ha seguito la comunicazione del personaggio forte, e ha dimenticato “le attese della povera gente”, secondo la dizione tanto cara a Giorgio La Pira, premiando la finanza al posto dell’economia reale. Ma, come un paradosso, le pagine di questo racconto sono rimaste orfane anche delle storie chi ha preso sul serio l’invito a fare buona politica, di chi ha rischiato, di chi ha avuto il coraggio di abitare insieme, con l’Altro, le nostre città.

Ecco, se c’è un merito di questo libro, è quello di aver messo alla luce la memoria di una buona politica che ancora c'è, è desiderata, è vissuta e visibile anche e soprattutto in piccole storie di anonimato servizio amministrativo. Una politica che dovremmo fare lo sforzo di regalare migliore alle giovani generazioni, perché se lo meritano.

Insomma, un libro che fa bene. Che riconcilia con la passione verso la polis. Che sa di impegno associativo, civico ed ecclesiale, nelle parrocchie, nei quartieri, nelle periferie lontane. Una memoria dove i credenti, così come hanno fatto nella scrittura della Costituzione e nella stesura delle pagine più belle del Concilio vaticano II, sono stati i protagonisti di una politica a “misura d’uomo”. Per qualsiasi uomo o donna, per i dimenticati, e gli “sfrattati” dalla società del benessere.

Il fatto poi che lo abbiano scritto due giovani giornalisti, in un momento cruciale per il mondo dell’informazione in perenne crisi di identità dovuto anche ai cambiamenti tecnologici in atto, sta a dimostrare quanto non solo abbiamo il compito di lasciare in prestito alle giovani generazioni una buona politica, ma anche quanto coraggio dovremmo ancora trovare per lasciar fare a chi viene dopo di noi.

Serve ancora la politica? Sì, serve. Servirà sempre di più. C’è solo bisogno di volti puliti, freschi, entusiasti per un “post” che sarà per forze di cose diverso e che sappiano guardare oltre la stanza del proprio condominio partitico. 

E guardare lontano. E provare di nuovo a servire, con la politica. Per la buona battaglia.