25 dicembre 2011: siamo tutti sulla torre

Silvio Mengotto

La nuova lettera enciclica Fratelli tutti ci invita ad ascoltare i poveri. Con questa sollecitazione ricordiamo la cronaca di un Natale di solidarietà di nove anni fa con tre lavoratori in cima a una torre nella Stazione Centrale di Milano. «I poveri – diceva don Roberto Malgesini – sono la vera carne di Cristo». 

Il racconto è presente nel volume Presepi. I poveri nelle periferie di oggi di Silvio Mengotto.

 

Dopo il pranzo natalizio a piedi raggiungo la Stazione centrale di Milano. Nel tragitto, che percorro in un surreale silenzio, incrocio un clochard solitario: barba incolta e grigiastra, sdentato, capelli unti, indossa un paltò grigio fatiscente e sporco. Trascina un carrello dove è raccolto tutto ciò che rimane della sua casa. Mi guarda come un bambino felice, ma non è ubriaco. Accenna un inchino di rispetto. I suoi auguri sono targati con un sorriso: «Buon Natale e tanti auguri». Contraccambio con gratitudine e sorpresa. La stazione è deserta. Nell’unica libreria aperta compro un raro libro di Gianni Rodari. 

Siamo tutti sulla torre è lo striscione nella stazione che indica dove Oliviero, Giuseppe e Carmine lottano contro gli 800 licenziamenti di ferrovieri della Servirail Wagons-List. Accampati sopra una torre hanno deciso di manifestare insieme a tutti i lavoratori colpiti nel paese. I licenziamenti devono rientrare, sono un peso enorme per loro, per le famiglie. Bisogna trovare una soluzione dignitosa per tutti. Accostando il binario 24 raggiungo la torre avvolta da striscioni. Ai piedi della torre uno scalo abbandonato trasformato nel centro organizzativo della lotta. È in corso una tombolata tra amici e parenti. Sotto il porticato quattro tende per la notte, un piccolo bar improvvisato, sedie e tavolini per l’accoglienza. Mi sorprende il profumo di arance spremute. Continuano ad arrivare gesti di solidarietà e amicizia di colleghi e semplici cittadini milanesi: panettoni, arance e coperte termiche. La solidarietà non manca dai ferrovieri di tutto il paese. 

Anche il cardinale Angelo Scola ha pubblicamente ricordato i tre lavoratori. Con un telefonino sotto la torre don Walter Magnoni porta la solidarietà dell’Ufficio di pastorale sociale del lavoro di Milano. Il gesto più commovente viene da due bambini. Con la mamma hanno portato dei doni: un pallone da calcio per i figli di Oliviero, Giuseppe e Carmine e i risparmi di un anno per sostenere la lotta. C’è freddo, tanta convinzione e passione. Più di 5000 le firme raccolte contro i licenziamenti. Nello scalo ristrutturato per la lotta c’è posto per un piccolo presepe. Nella mangiatoia il piccolo Gesù raccoglie le grandi ferite dei poveri: i senza tetto, i disoccupati, i separati, gli ammalati, i licenziati, i diversamente abili, i disperati, i giovani senza lavoro, le donne maltrattate i bambini sfruttati, gli immigrati, i rom. «Questa – dice don Tonino Bello – è la nostra ostinata follia. I cenci dei poveri sono per noi la preziosa porpora di Gesù, capo dei poveri, dovrà rivestire in cielo tutti coloro che hanno creduto alla sua beatitudine: “beati i poveri”».

Sotto la torre un albero di Natale, sui rami verdi non sono appese le palle colorate ma lettere di solidarietà. Ne trascrivo una che recupera il senso smarrito del Natale: «Tu che ne dici, se in questo Natale faccio un bell’albero dentro il mio cuore e ci attacco, invece dei regali, i nomi di tutti i miei amici? Gli amici lontani e vicini. Gli antichi e i nuovi. Quelli che vedo tutti i giorni e quelli che vedo di rado. Quelli che ricordo sempre e quelli che, alle volte, restano dimenticati. Quelli costanti e intermittenti. Quelli delle ore difficili e quelli delle ore allegre. Quelli che, senza volerlo, mi hanno fatto soffrire. Quelli che conosco profondamente e quelli dei quali conosco solo le apparenze. Quelli che mi devono poco e quelli ai quali devo molto. I miei amici semplici e i miei amici importanti. I nomi di tutti quelli che sono già passati nella mia vita. Un albero con radici molto profonde perché i loro nomi non escano mai dal mio cuore. Un albero dai rami molto grandi, perché nuovi nomi venuti da tutto il mondo si uniscano ai già esistenti. Un albero con un’ombra molto gradevole, la nostra amicizia sia un momento di riposo durante le lotte della vita». 

Oggi, in piena pandemia, aggiungerei l’invito di papa Francesco. «Come sarebbe bello se, mentre scopriamo nuovi pianeti lontani, riscoprissimo i bisogni del fratello e della sorella che mi orbitano attorno!» (Fratelli tutti, n. 31)