Attesa di Pesakh, per un'Europa che non ha paura del futuro

Gianni Di Santo

La guglia di Notre Dame che prende fuoco in questi giorni di attesa di Pesakh, e le preghiere intonate a Maria lungo le strade di Parigi dalla gente arrivata in massa, sono l’ultimo avamposto della buona battaglia per un’Europa condivisa da tutti. Come i volti di Greta, e Antonio, che abbiamo raccontato in questo giorni di tempi confusi e frammentati anche attraverso le pagine di SegnoWeb, e gli altri volti della buona speranza che non hanno paura di un’Europa culla della civiltà e della solidarietà.

Una Pasqua tarda di duemiladiciannove vissuta tra incendi e sbarchi su sponda opposta, un venerdì santo di calvario e una Pasqua di risurrezione che raccontano meglio di altri una mappa dell’anima da ritrovare. Non solo per noi cristiani, affascinati dalla buona notizia. Anche una Pasqua laica, dove la risurrezione ha l’anima della salvaguardia del creato e dell’ambiente, perché solo se saremo capaci di rendere onore alla terra e al mare che ci hanno dato in prestito, allora forse anche i vicoli stretti della crisi economica sempre più asfissiante potranno trasformarsi in opportunità di crescita.

La risurrezione alla quale oggi ci aggrappiamo ha il sapore dei porti aperti, dei ponti ricostruiti, dei gesti di pace, dell’accoglienza senza se senza ma. È questa l’Europa che sogniamo. Pietro Pisarra, giornalista italiano che vive in Francia da più di trent’anni, scrive in un libro appena pubblicato da Ave, Europa una mappa interiore: «L’Europa è anche l'epica e il mito dei greci, le luci di al-Andalus e dei filosofi arabi, è l’eredità di Gerusalemme, dei suoi profeti e dei suoi sapienti. È il disincanto di Montaigne e il riso di Rabelais, la honra, l’onore per cui combatte don Chisciotte, sia pure contro i mulini a vento, l’utopia di Thomas More più che mai attuale, al tempo della Brexit. È la pietas di Enea che porta sulle spalle il padre Anchise. Perché l ‘Europa, terra di migranti, è meticcia e accogliente per definizione».

Vogliamole bene, a questa Europa. Teniamola al riparo dagli impeti sovranisti. Sappiamo che c’è da fare molta strada, un lungo cammino esodale, quasi biblico. Di profeti ce ne sono pochi. Papa Francesco è uno di questi. Per fortuna rimangono i volti della gente semplice. I gesti. Le mani che sanno fare il pane. Il canto delle litanie di sud e di oriente. Gli occhi che sanno guardare oltre l’uscio di casa propria. E un’anima da riconquistare, perfino da innamorarsi di nuovo. Lungo le rotte di una nuova geopolitica dalle latitudini più allargate e dalle longitudini più azzardate. Se l’azzardo oggi è mettersi a lavorare con sorriso dalla riva opposta, per desiderio di democrazia e misericordia.

C’è spazio, in questo nuova Europa, per attesa di Pesakh buona. E allora, che anche questo seder di Pesakh, sia festa e benedizione. Perché mai come questa volta, la storia del popolo ebraico e il nuovo testamento cristiano che irrompe a trasformare il mondo, camminano lungo le lande polverose del deserto dell’intolleranza. E la liberazione dalle schiavitù di Egitto, oggi, può dirsi liberazione dai roghi di un’idea difensiva e sovranista sull’Europa che nulla ha che vedere con la memoria collettiva di un’umanità che cerca Dio. E incontra l’altro.

L’erba amara che mangiamo nella notte di Pasqua precede la coppa di vino buono e la carne squisita dell’agnello.

Che sia allora buona Pesakh. Per tutti. 

Attesa di Pasqua buona per un’Europa che non ha paura di futuro e di speranza.