Cambiare mira e investire nella pace
Un mercato imponente, quello dell’export di armamenti. Che nel solo 2019 ha movimentato 9,5 miliardi di euro, con un incremento del 27,5% rispetto al 2018. A rivelarlo è l’ultima relazione della Presidenza del consiglio sull’import e l’export di armi come previsto dalla legge n. 185 del 1990. Proprio nel trentennale dell’adozione di questa normativa e a venti dal lancio della prima campagna, promossa in occasione del Giubileo del 2000, tre riviste del mondo cattolico hanno deciso di invitare le comunità cristiane a “investire nella pace”
«Non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare e trafficare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite». Parole di papa Francesco che tre riviste italiane legate al mondo missionario – Nigrizia, Missione Oggi e Mosaico di Pace – hanno scelto per rilanciare la mobilitazione nazionale contro le “Banche Armate” ovvero quegli istituti di credito coinvolti nell’export italiano di armamenti. Un mercato imponente che nel solo 2019 ha movimentato 9,5 miliardi di euro, con un incremento del 27,5% rispetto al 2018. A rivelarlo è l’ultima relazione della Presidenza del consiglio sull’import e l’export di armi come previsto dalla legge n. 185 del 1990. Proprio nel trentennale dell’adozione di questa normativa e a venti dal lancio della prima campagna, promossa in occasione del Giubileo del 2000, le tre riviste hanno deciso invitare le comunità cristiane, i vescovi, i parroci, e a tutte le persone di buona volontà a “Cambiare mira!” e a “investire nella pace”.
«Dentro questa emergenza in cui si inietta liquidità nel sistema economico e nella Chiesa per sostenerne le attività – si legge nell’appello –, sentiamo ancora più forte l’esigenza di prestare attenzione al denaro e ai suoi movimenti».
Sono quattro gli impegni alla base della campagna. In primo luogo verificare le banche in cui abbiamo depositato i risparmi evitando quei gruppi bancari che finanziano l’industria, il commercio e la ricerca militare (in questo ci aiuta la tabella che potete trovare sul sito banchearmate.org). Scorrendo i nomi degli istituti si scopre come l’80% del denaro passi per tre banche: Unicredit che da sola raccoglie il 58,11% dell’ammontare complessivo delle transazioni, per un cifra vicina ai 5,5 miliardi di euro, Deutsche bank, che ha gestito un miliardo di euro (il 10,61% del totale), e Intesa Sanpaolo, con poco meno di un miliardo (10,57%).
Il secondo impegno è quello di verificare le fonti delle donazioni a parrocchie, comunità religiose e associazioni, anche rinunciando a provenienze dubbie. Il terzo è sensibilizzare la cittadinanza sul tema della riconversione delle spese, delle aziende militari e delle operazioni bancarie per promuovere le aziende e i fondi destinati a sostenere la vita.
Infine una richiesta al governo italiano: attivare una moratoria sulla spesa militare per almeno un anno, riconvertendo tale spesa nella sanità, nella scuola, nella cultura, nella difesa dell’ambiente e nelle comunità locali. «Così come in tante famiglie, a causa della crisi, si deciderà di rinviare qualche spesa non necessaria, noi chiediamo un rinvio delle spese militari per l’acquisto di armamenti. Non stiamo parlando degli stipendi dei soldati o dei carabinieri, ma di sistemi d’arma e mezzi che verranno messi a bilancio nel 2021 per un valore di circa 6 miliardi di euro. Spese per cui un rinvio non pregiudicherebbe le nostre capacità di difesa», ha precisato Francesco Vignarca, coordinatore nazionale della Rete Italiana per il Disarmo.
Quello proposto è dunque un impegno comune perché, come ricordava il teologo Enrico Chiavacci, «ognuno di noi ha il diritto e il dovere di sapere dove mette i propri soldi e a che cosa quei soldi servono. È un dovere morale, fondamentale per tutti».