Elezioni europee: cinque buone ragioni (almeno) per votare
Ci sono almeno cinque buone ragioni (ma, volendo, il loro numero potrebbe lievitare!) per recarsi ai seggi domenica 26 maggio per il rinnovo dell’Europarlamento.
Il primo. La posta in gioco è alta: il Parlamento europeo – eletto a suffragio universale da oltre 400 milioni di cittadini – ha assunto, all’interno dell’architettura politica Ue, un ruolo sempre più rilevante ed è oggi, assieme al Consiglio (che rappresenta i governi dei Paesi membri) l’istituzione legislativa e di bilancio, con decisioni concrete e utili per la nostra vita di ogni giorno. Dall’economia e il lavoro alla difesa dell’ambiente, dall’energia alla tutela dei diritti individuali e collettivi, dalla cultura alla sicurezza, dalla coesione sociale allo sviluppo territoriale, il Parlamento opera con normative, progetti e finanziamenti che ambiscono a migliorare la vita di ciascun europeo. Un’affluenza elevata alle urne e un maggior sostegno popolare al Parlamento potrebbe essere un segnale per rafforzare l’Eurocamera rispetto al finora sovrastante peso degli Stati in una Ue ancora troppo “intergovernativa”.
Secondo. Votare – per il Comune, per la Regione o il Parlamento nazionale, fino all’Europarlamento – è esercizio consapevole della propria cittadinanza. Votare, si dice, non basta, ed è vero. Ma si tratta di un elemento necessario (e in qualche modo educativo) per riaffermare il concetto fondamentale di democrazia e per sviluppare quel senso di responsabilità verso le istituzioni politiche che regolano la vita civile, economica e sociale in un Paese e in un Continente liberi e moderni.
Terzo. Nel frangente storico nel quale ci troviamo, il voto popolare per il Parlamento di Strasburgo può costituire un segnale chiaro rispetto al montante nazionalismo. I nazionalisti – per dirla chiaramente – sono coloro che vogliono dividere i popoli, che ritengono necessari muri e frontiere per “segnare le differenze” tra il “noi” e il “voi”, per far prevalere gli interessi nazionali anche a scapito di quelli dei vicini di casa. E di certo a scapito del bene comune. Il nazionalismo non va confuso con un sano amor di patria. Ne è semmai la negazione. Nell’era globale la sovranità nazionale si può difendere e far valere mettendola in gioco in una istituzione più grande e forte come l’Europa, in grado di tenere il passo degli altri attori sulla scena mondiale, siano essi gli Stati Uniti, la Cina, la Russia, il Giappone, o i nuovi e futuri protagonisti, come India, Brasile, Corea, Nigeria, Pakistan, Iran, Sudafrica, Messico… Insieme i “piccoli” Stati Ue (Germania, Francia e Italia compresi) possono contare qualcosa: singolarmente varrebbero come il due di picche quando la briscola è cuori!
Quarto: il voto, assegnato a partiti e candidati che credono davvero all’Europa, portatori semmai di un progetto riformatore per l’Ue (non solo a chiacchiere…), potrebbe avviare, nella legislatura 2019-2024, una fase costituente per l’Europa comunitaria che, preso atto dei successi, dei risultati e dei limiti della “casa comune”, ne prospetti un vero rilancio.
Quinto (ma certo non ultimo): per i cristiani vale l’insegnamento della Chiesa che, sin dagli albori dell’integrazione, ha sostenuto con convinzione la costruzione della “casa comune”. Un’Europa – come dice papa Francesco – fondata sulla persona e il senso di comunità, aperta al mondo, esempio di quell’universalismo che la Chiesa cattolica afferma sulla scorta del messaggio evangelico. Una Ue basata sui principi di solidarietà e sussidiarietà che, non a caso, troviamo affermati nella Dottrina sociale.
Votare il 26 maggio significa affermare: io ci sono. Altrimenti saranno gli altri a decidere al tuo posto.
(articolo pubblicato sul sito iovoto.eu)