Il più forte è sempre chi ci crede di più

marcoias

Ci risvegliamo in festa e un po' rintronati da una notte in cui abbiamo tolto il freno. Il lavoro e la settimana ci attendono ma, diciamolo, non ci troveranno troppo attenti. La Nazionale di calcio ha vinto un Europeo dai mille significati, sportivi e non, e noi viviamo quella sensazione, purtroppo rara e quasi sempre legata al calcio più che ad altri aspetti della nostra convivenza, di unità e di forza.

Il gioco di queste ore è ricostruire meriti, dare pagelle, indicare il migliore, individuare chi in mezzo al campo ha un po' deluso ma fa nulla, tanto abbiamo vinto. E ironizzare un po' (un bel po') con questi strani fratelli inglesi per i quali due sono le tesi in campo: o non conoscono la scaramanzia o davvero credono che la presunzione sia una virtù.

Provare ad accompagnare una gioia così irrazionale e fanciullesca con qualche riflessione rischia di farci scivolare nella retorica, che già non manca sulle colonne dei giornali e nei servizi televisivi. Eppure un pensiero possiamo appuntarlo, dopo la "notte magica" appena vissuto: nel calcio, nello sport e, possiamo dirlo, nella vita, il più forte è sempre chi ci crede di più.

Chi ci crede davvero è un passo avanti. Crederci punto e basta, senza ricami, come ha fatto mister Mancini dal primo giorno di raduno con una rosa di giocatori maciullata dai fallimenti. Credere in se stessi, come Donnarumma, che sulla linea di porta, a 11 metri dall'avversario, alza le mani, sgombera la mente e sembra dimenticare la giovane età, i soldi che lo circondano - e mettono al centro delle polemiche - da quando è ragazzino. Credere che è finita solo quando è finita, come i due "nonnini" Bonucci e Chiellini: perché alla fine è vero che abbiamo giocato un bel calcio, ma è vero pure che nelle ultime due partite l'abbiamo spuntata con la difesa. Credere che la periferia e la provincia possano essere il centro del mondo e il luogo dei sogni e dei desideri, anche se a 12 anni, come accaduto a Insigne, il calcio sembra a tutti un capriccio e la realtà è accompagnare il tuo papà venditore ambulante in giro per quartieri. Credere che se acceleri un'altra volta li freghi tutti perché non se lo aspettano, perché non credono tu ne abbia ancora: credere nei tuoi polpacci e nei tuoi polmoni, come fa Chiesa. Credere che la tua patria è quella che ti ha fatto uomo, e cantare l'inno a squarciagola, come il professore Jorginho ed Emerson Palmieri. Credere che un tendine d'Achille si possa ben sacrificare per i tuoi compagni, come Spinazzola. Credere che c'è vita dentro e fuori un male che non ti dà tregua, come Gianluca Vialli.

Forse eravamo più forti, forse no. Forse eravamo più belli, forse no. Forse stiamo facendo la solita italianata intorno a un pallone, forse no. Di certo ci abbiamo creduto di più. E crederci di più, crederci ancora, crederci in ogni caso, è la strada che dobbiamo imparare a battere tutti.