Il tempo dell'audacia

Francesco Marrapodi

L’incarnazione del Figlio di Dio ci manifesta il canto d’amore del Padre per ciascuno dei suoi figli. Indicandoci la possibilità di sperimentare nuove vie affinché tutti noi possiamo compiere gesti credibili, che guardano ai dimenticati, ai disperati, ai poveri

 

«… e venendo porterà pace su tutta la terra»

 

Nell’immediata preparazione alla celebrazione del santo Natale, la tradizione ci invita a rendere viva l’attesa con il “canto delle profezie”: gli amici di Dio - i profeti - avevano preannunciato una nuova e definitiva alleanza che il Signore avrebbe compiuto con il suo popolo. In Gesù, Figlio di Dio, fatto uomo per donare la gioia vera ad ogni uomo troviamo il compimento di tutte le profezie: è proprio Gesù, parola incarnata di Dio, che ci parla dell’amore eterno che il Padre offre all’umanità.

«Betlemme città del sommo Dio, da te nascerà il signore di Israele e la sua venuta come dall’inizio dell'eternità sarà esaltata in tutto l’universo, e venendo porterà pace su tutta la terra» (Regem venturum Dominum). Ancora oggi, la Chiesa accoglie questa profezia e si fa cassa di risonanza per il mondo intero; in un mondo spesso lacerato da divisioni, disuguaglianze, egoismi privati e comunitari, interessi personalistici e guerre, la Chiesa ha il dovere di continuare a cantare la profezia della speranza e della pace.

Il tempo di Avvento arriva ogni anno con il chiarore delle luci e la dolcezza della convivialità, ma quant’è impellente che questo tempo sia abitato soprattutto dal canto: «Cantiamo da viandanti. Canta, ma cammina. Che significa camminare? Andare avanti nel bene, progredire nella santità» (dai Discorsi di Sant’Agostino). Da discepoli missionari siamo certi che l’incontro con Cristo, il Veniente, ci permette come popolo dell’Alleanza di progredire nel bene, di spingere l’umanità verso il compimento e la pienezza di vita.

Accompagnati dal vento dello Spirito

È proprio in questo tempo liturgico che il cristiano percepisce con maggior slancio che la propria storia è accompagnata dal “vento” dello Spirito; e allora bisogna confidare e assumersi la responsabilità di consegnare a questa storia il proprio “Sì”, continuare a scrivere la storia con la passione di chi sa condividere con umiltà i propri talenti.

È il tempo dell’audacia! Questo stile ecclesiale ci ricorda che la fede cristiana si genera nell’ascolto di una Parola: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Solo in questo ascolto, nell’accoglienza del Verbo di Dio potremo generare un’audacia che ci permette riscoprire con forza il senso della nostra esistenza chiamata a farsi dono ai fratelli. Nell’attesa e nel silenzio si genera la Parola in noi: questo è il cammino che dall’Avvento ci conduce al Natale: tale evento generativo della nostra fede e ingresso di Dio nel tempo, ci ricorda che siamo in cammino con lo sguardo orientato verso il Cielo.

Camminiamo nell’attesa perché portiamo nel cuore il desideriamo di contemplare Dio e di rimanere permanentemente in questa preziosa visione. «Come coloro che vedono la luce sono nella luce, e partecipano al suo splendore e ne colgono la chiarezza, così coloro che vedono Dio, sono in Dio e ricevono il suo splendore. Lo splendore di Dio dona la vita: la ricevono coloro che vedono Dio» (da Contro le Eresie di Sant’Ireneo di Lione).

E nella sosta del cammino, riassaporiamo il silenzio per contemplare e adorare. Come fece Maria, a Nazaret, prestando l’orecchio all’annuncio dell’Angelo; come accadde a Giuseppe nel sogno che irrompe nella sua vita per dismettere il timore; come i pastori stupiti di fronte al “segno” presente in una mangiatoia. «Mentre viviamo questo periodo di attesa sarebbe importante riscoprire il silenzio, come momento ideale per cogliere la musicalità del linguaggio con il quale il Signore ci parla. Un linguaggio tanto simile a quello di un padre e di una madre: rassicurante, pieno di amore e di tenerezza» (Meditazione mattutina di papa Francesco, 12 dicembre 2013). 

Pellegrini e vigilanti nell’attesa per non cadere nella tentazione di chi mette a rischio il nostro impegno paziente e inclusivo a costruire una vera amicizia sociale fondata sulla pace e la fraternità.

L’incarnazione del Figlio di Dio, così paradossale e imperscrutabile, ci manifesta il canto d’amore del Padre per ciascuno dei suoi figli. Egli canta in noi, per mezzo del suo Spirito, e ci indica la possibilità di sperimentare nuove vie da percorrere perché come comunità credente possiamo compiere gesti credibili, che guardano ai dimenticati, ai disperati, ai poveri.

Anche quest’anno, allora, con il nostro canto risveglieremo l’aurora di un mondo nuovo, veramente evangelico: «Voglio cantare, voglio inneggiare: svégliati, mio cuore, svegliatevi, arpa e cetra, voglio svegliare l'aurora» (dal Sal 108).