Il gusto di condividere

Lucio Greco

Ogni comunità cristiana (e non solo parrocchiale) potrà assicurare frutti abbondanti di Vita vera se è capace, già ora, di avere una buona proposta culturale, una matura proposta spirituale per gli uomini e le donne del nostro tempo e una coraggiosa proposta missionaria, oltre i confini delle proprie incertezze pastorali

 

La riflessione sulla Parrocchia non è mai passata di moda. Chi si lascia coinvolgere dalle attuali provocazioni che vengono dal mondo e dalla poca conoscenza delle sue logiche può trovare una “possibilità salvifica” nell’arte del discernimento e nello stile sinodale che stiamo mettendo a punto. Possiamo continuare a lamentarci di ogni cosa (che riguarda gli altri) e non accorgerci che abbiamo sempre a portata di mano una provvidenziale occasione per realizzare il mandato di Gesù: «Andate…». E se qualcuno si lascia subito prendere dal panico pastorale di non sapere cosa fare (prima), c’è sempre a portata di Vangelo la condizione rassicurante da non perdere mai di vista: «Venite…». E se qualcuno si sente trascurato nelle sue personali doti creative può sempre sentirsi dire: «Seguimi…». C’è allora bisogno di favorire e prendere sul serio la conversione pastorale dei nostri vissuti cristiani poco evangelici, valorizzando almeno alcune dimensioni importanti che ancora ci mancano.  

La prima dimensione da rilevare nelle nostre strategie pastorali è quella dell’ascolto. Se manca questa siamo al buio! È difficile, in questa provvisoria condizione, individuare “uscite di sicurezza”, a meno che non si rimette la Parola di Dio al centro. 

La seconda dimensione che si deve valorizzare, scoprendone la radice divina e le enormi potenzialità umane, è quella della partecipazione. Se manca anche questa siamo soli! E chi fa per sé non fa per tre, ma fa sempre peggio. Sentirsi nella vita (anche pastorale) sempre in cammino e con buoni compagni di viaggio alleggerisce sostanzialmente il peso della fatica e rende più profetica la direzione dei passi.

La terza dimensione, che non può mancare nell’esperienza cristiana delle nostre comunità parrocchiali, è quella della gioia. Può anche sembrare il frutto più autentico delle due precedenti dimensioni, ma è molto di più. Se manca anche questa siamo messi proprio male! Giova sempre rimettere in circolo le parole del Maestro e non dimenticare quello che ha precisato a proposito: «Vi ho detto queste cose, perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena (Gv 15, 11)».

Una comunità parrocchiale 3D (ascolto-partecipazione-gioia) perché sia anche ad “alta definizione” e quindi al passo con i tempi, deve necessariamente mettere in questione sé stessa e imparare a leggere il suo presente e il presente del contesto in cui vive e in cui opera (male). Il termine contesto si presta a più interpretazioni per chi fa attenzione alle parole e intuisce rassicuranti conferme: con-te-sto.

Una prima possibile interpretazione pone l’accento sulla presenza del Signore che sta con noi e vive il silenzio del protagonista senza che ce ne accorgiamo. Troppo spesso invece il chiasso delle nostre inconcludenti prospettive parrocchiali lascia fuori chi cerca cammini da condividere per crescere umanamente e spiritualmente.

Una seconda interpretazione può aiutarci a cogliere l’ambivalenza del verbo “contestare”. Una contestazione distruttiva, fine a sé stessa, non serve a niente e a nessuno. Mentre una contestazione mirata a identificare un problema, riconoscendone anche la paternità, può meglio facilitare non solo le soluzioni, ma anche l’impegno concreto per attuarle. 

Una terza interpretazione del termine contesto è quella più immediata e conosciuta: l’orizzonte in cui opera una comunità cristiana e non solo. Abitare un territorio, conoscerne le potenzialità e i limiti, impegnarsi a migliorare il suo presente e garantire un futuro diverso, sono gli aspetti intriganti di un accurato discernimento pastorale.

Mettiamoci all’opera! I processi formativi non si possono improvvisare e meno ancora accelerare. Hanno bisogno di non poco tempo e sorprendono per il risultato solo quando sono concreti e condivisi.

Si parla tanto di parrocchie in crisi ed è una realtà che non ci deve spaventare. Faremmo meglio ad attivare seriamente le nostre “unità di crisi” (Consigli pastorali) con lo sguardo rivolto all’esterno, anzi all’intorno, meglio ancora… oltre. La parola “crisi” è un termine greco che significa scelta, decisione. Ma siamo riusciti a riconoscerle una connotazione negativa che spaventa e scoraggia gli animi più deboli.

Alle tre dimensioni iniziali aggiungo un’altra triade di termini che stanno orientando il nostro cammino pastorale di questo «tempo favorevole» (2Cor 6, 2). Per una decisiva svolta delle nostre comunità ecclesiali occorre riconoscere un limite: continuare a rimpiangere il passato che ha caratterizzato la presenza della Chiesa (anche) nel mondo. Senza nascondere il rischio di restringere il presente alle sole forme tradizionali, ormai rassicuranti solo per pochi. La svolta è quella di scomodare e sconvolgere l’attuale coscienza cristiana, disorientata dalla schizofrenia pastorale che ha nei sacerdoti i peggiori protagonisti e trova in alcuni irriducibili parrocchiani l’agonia della speranza cristiana. 

Il futuro che ci attende ha già i suoi germogli nel terreno fecondo del nostro presente. Ogni comunità cristiana (e non solo parrocchiale) potrà assicurare frutti abbondanti di Vita vera se è capace, già ora, di avere una buona proposta culturale, attenta ai segni dei tempi; una matura proposta spirituale per gli uomini e le donne del nostro tempo; e una coraggiosa proposta missionaria, oltre i confini delle proprie incertezze pastorali.

 

*parroco nella chiesa Madre dei “Ss. Pietro e Paolo Apostoli” a Galatina