Immuni, una app anti-contagio che fa discutere
Immuni, una app anti-contagio che fa discutere
In gergo tecnico viene definita una app di contact tracing, una tecnologia che permette di tracciare i contatti tra individui senza però avvalersi di un sistema di geolocalizzazione. A spiegare il funzionamento ma anche i rischi di questo strumento è Pierluigi Paganini, esperto di cybersicurezza: «lo scambio dei dati avviene attraverso la tecnologia Bluetooth e non attraverso il Gps, quindi registra solo le interazioni tra dispositivi e non dove queste avvengano». Ma tanto fa ancora discutere
In uno scenario che neppure il premio Nobel José Saramago, autore del romanzo Cecità, avrebbe potuto immaginare, il futuro post-pandemico delle nostre società potrebbe essere affidato al controllo da parte di un’applicazione digitale. Ribattezzato con l’inquietante nome di Immuni, lo strumento che dovrebbe arginare il contagio è una app da scaricare su smartphone e dispositivi da indossare, che già fa molto discutere. Si tratta, infatti, di uno strumento di controllo che permetterebbe di tracciare i contatti tra chi lo utilizza e facilitare così l’individuazione di persone potenzialmente a rischio di contagio da coronavirus. Il Commissario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri, ha definito Immuni uno strumento fondamentale per garantire la sicurezza della Fase-2, ribadendo tuttavia che il suo utilizzo sarà su base volontaria e non comporterà alcuna restrizione per chi deciderà di non scaricarla.
«In gergo tecnico viene definita una app di contact tracing, una tecnologia che permette di tracciare i contatti tra individui senza però avvalersi di un sistema di geolocalizzazione». A spiegare il funzionamento ma anche i rischi di questo strumento è Pierluigi Paganini, esperto di cybersicurezza: «lo scambio dei dati avviene attraverso la tecnologia Bluetooth e non attraverso il Gps, quindi registra solo le interazioni tra dispositivi e non dove queste avvengano». Nel momento in cui due o più individui entrano in contatto per un determinato lasso di tempo le app iniziano a scambiarsi una serie di informazioni, che potranno indicare attraverso la cronologia dei contatti chi eventualmente sia stato esposto a un rischio di contagio.
Tra i punti critici del sistema pensato per arginare i focolai di contagio c’è la necessità di ricorrere a un forte senso civico dei cittadini. Chi viene avvisato dal dispositivo di essere stato a contatto con una persona infetta dovrebbe, infatti, “autodenunciarsi”. E poi c’è il nodo critico dell’utilizzo della app su base volontaria. «Se non si arriva al famoso 60% della popolazione – spiega Paganini – si vanifica la possibilità di tenere sotto controllo i contagi». Nonostante tutte le rassicurazioni, restano forti dubbi per la tutela della privacy. «Qui il grosso problema non è tanto il fatto di essere monitorati o di sottoporsi comunque delle restrizioni, quanto il fatto di sapere chi sarà a gestire i dati che vengono raccolti». Nei paesi in cui dispositivi simili sono già stati sperimentati - Germania, Francia e Singapore – la raccolta dei dati è centralizzata e in mano allo Stato. Il rischio di affidarli a dei privati, invece, è molto alto. Basti pensare all’immensa sottrazione di dati personali verificatasi in questo periodo in cui tutti siamo iperconnessi nell’ambiente digitale. Cosa accadrebbe se qualcuno riuscisse a bucare il sistema di sicurezza deputato a proteggere questi dati?
In Corea del Sud un modello simile, invece, ha funzionato perché accanto alla tecnologia si è abbinata anche la capacità medica di effettuare dei test su larga scala, si è trattato di un modello d’eccellenza. «In Olanda invece si sono avute forti criticità - prosegue Pierluigi Paganini – perché poco tempo dopo aver reso pubblico il codice sorgente di una delle applicazioni candidate, si è subito osservato un data-leak, una divulgazione di dati di cittadini olandesi. Ovviamente si tratta di un caso limite, ma sufficiente a destare preoccupazione da parte del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica».
Tra i rischi da tenere presenti c’è anche quello del sabotaggio. «Sarebbe catastrofico – ammonisce Paganini –. Immaginiamo un attaccante in grado di manipolare l’efficacia della app inviando in maniera indiscriminata tutta una serie di messaggi di allarme e ingenerando falsi positivi, a questo punto chiaramente tutto il modello crollerebbe con ripercussioni sulla mobilità, sulla sanità, sulla società del tutto imprevedibili».