L'anti-italiano

giadis

C’è poco da fare: l’Italia che abbiamo visto stramazzare Turchia e Svizzera è la squadra più anti-italiana che abbiamo mai potuto conoscere da quando esiste il calcio. Che Dio l’abbia in gloria, la pelota. Eh sì, perché abituati al catenaccio nostrano, ai Burgnich-Facchetti-Gentile che è meglio prima non prenderle – e che comunque ci ha fatto vincere qualche coppetta, tanto per dire –, dove, insomma, si aspetta l’avversario e si colpisce in contropiede, in omaggio al Dio che premia gli umili lavoratori nella vigna calcistica del Signore (gli italiani) che non le prime donne dell’eleganza nordica e un po’ sfacciata, ora ci troviamo con una generazione che non supera ventitré anni, spregiudicata, sprezzante del pericolo, innamorata della bola de futebol e del suo viaggiare per il campo come fosse una chat improvvisa al ritmo di due tocchi (e due click).

Sì, il miracolo è questo. I nostri giovani calciatori araldi della pelota di questo Europeo, accompagnati da un paio di vecchietti (Chiellini e Bonucci), loro, sì, alfieri della palla in tribuna, sanno che la bellezza porta allegria, divertimento e buoni sentimenti.

E in fondo, questa “piccola impresa meridionale”, piena di nomi improbabili, Ciro, Manuel, Jorge Luiz Frello Filho, naturalizzati e affini, marcantoni nordici e piccoli guastafeste, oratori del nord e vicoli di strada del sud, e chi più ne ha più ne metta, forse, chissà, per paradosso e profezia, è la più italiana di tutte. Con il suo calcio sfrontato e veloce, abbraccia in un solo istante la new generation che sappiamo essere l’orgoglio italiano nel mondo, la ricerca scientifica, le nuove start up che stanno nascendo nel campo ambientale e nella tutela del creato, le cooperative che guardano all’occupazione e non solo ai proventi, le aziende innovative che si muovono tra un capo all’altro del mondo e che sono guidate da giovani. Insomma, un atto di fiducia nel futuro di questo Paese.

Un’Italia che viaggia con la mente e con le mani e che lavora sodo, e che ha bisogno ancora, per credere sempre di più nel miracolo, di memoria ed esperienza. Giovani e adulti, insieme, sulle tracce della bellezza e della mitezza mediterranea.

E allora, guardare in tv le partite di questa nazionale di calcio, è come affacciarsi da un balcone di Capri o da un palazzo vecchio di Roma, e fermarsi a gustare il bello, contemplando la leggerezza. Che prima solo i vecchi dei dell’Olimpo sapevano ostentare, previo sacrifici. 

A noi, gente italica degli anni duemila, basta poco. Due tocchi ed è subito goal.

E la grazia di un Dio che sorride. E, magari, perché no, che ci faccia arrivare in fondo alla meta.