«L'odio è il veleno peggiore. Ma tu, se vuoi, hai l'antidoto»

Silvio Mengotto con Marco Erba

«Ho scritto Città d’argento – dice lo scrittore Marco Erba a SegnoWeb – perché quando ai miei studenti racconto di Srebrenica non sanno di cosa stia parlando. Lì si è consumato il più grande e terribile genocidio in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi». E l’incontro oggi tra i popoli è l’unica arma che ci permetterà di vincere la guerra della speranza e della ricostruzione

 

Marco Erba insegna lettere in un liceo milanese. Fra me e te, il suo primo romanzo, si è aggiudicato il Premio Galdus e il Premio Città di Cuneo, Sezione Scuole. Ha pubblicato Quando mi riconoscerai e curato Ci baciamo a settembre, una raccolta di racconti degli studenti durante il lockdown. Ha scritto anche Insegnare non basta. Il suo nuovo romanzo Città d’argento (Rizzoli), ci riporta a vicende dei Balcani di ieri e che ci insegna tanto sull’oggi mettendoci in guardia dal fatto che la paura (in questo caso del diverso per religione) può diventare odio e persino guerra. Come nei precedenti romanzi l’autore si focalizza sui giovani, la famiglia, l’amore, l’amicizia, le relazioni e la ricerca delle proprie radici. «Uno dei messaggi fondamentali – dice Erba – del libro e che dal passato non si può fuggire. Il mio passato lo devo conoscere. Del passato mi devo nutrire, usarlo come rampa di lancio per un futuro e un mondo un po’ più bello»

 

Nel romanzo c’è questo percorso?  

In particolare è nel percorso di Greta che va a scoprire quella metà delle sue radici che sono in Bosnia e che le erano state nascoste per paura del dolore. Conoscere le proprie radici, anche negli aspetti più dolorosi, è qualcosa che fa crescere. A volte si sente dire che gli orrori della storia non si ripetono. Durante la guerra della ex Jugoslavia, poche centinaia di chilometri da casa nostra, ci sono stati dei campi di concentramento dove sono state recluse delle persone dietro un filo spinato. Questo 25 anni fa! Tremendo! Scoprire le proprie radici vuol dire affrontare la realtà e avere anche gli anticorpi perché certe cose non tornino. Nella copertina dico che «l’odio è il veleno peggiore. Ma tu, se vuoi, hai l’antidoto».

 

Di che antidoto si tratta?

L’antidoto sono le buone relazioni. Il costruire ponti invece di muri. Incontrare le persone e avere qualcuno che ti fa sperimentare la bellezza delle relazioni. In questo ci sono le relazioni con la famiglia, coi parenti, ma anche gli incontri. L’essere aperto agli incontri ha un ruolo decisivo. Il dolore fa parte della vita e confrontarti col dolore aiuta a crescere, ci fa capire che l’amore è più forte, che la speranza è più forte. La Bosnia, nonostante tutte le ferite che ci sono, è un grande paese dove ho fatto tantissimi incontri che, partendo da esperienze di dolore, hanno scoperto un amore, una bellezza più grande.

 

C’è un incontro che ricorda particolarmente? 

È proprio uno dei personaggi chiave del libro, una persona che ho conosciuto e che mi ha autorizzato a parlarne nel libro. È una donna musulmana che ha perso in guerra il figlio a Sarajevo, ucciso da un cecchino serbo. Dopo la guerra ha aperto un locale. Come suo primo dipendente ha assunto un cecchino serbo che sparava dalla collina dietro casa sua. È un’esperienza fortissima. Nella vita, mi ha confessato la donna, noi possiamo scegliere tra perdonare e costruire un mondo nuovo, o distruggere, odiare, fermarsi al dolore, al passato. Se il dolore scava dentro di te è anche una incredibile occasione per costruire qualcosa di nuovo. 

 

Cosa ci insegna il massacro di Srebrenica?  

Quel genocidio ha tantissimo da insegnare. In Bosnia, fino a poco tempo prima della guerra, nessuna persona pensava che la guerra sarebbe scoppiata. Era un paese multietnico dove le religioni convivevano pacificamente. A Sarajevo, come in tante città della Bosnia, le chiese e le moschee sono vicine di casa. Il 40% dei matrimoni, se non di più, era misto tra persone di etnie diverse. La propaganda nazionalista dei politici ha avviato i tre passi che vediamo oggi in Italia e in Europa.

 

Quali sarebbero? 

Primo la paura, secondo l’odio e terzo la violenza. Se tutti dicono che il diverso è il nemico, tu hai paura. Il passo successivo è l’odio. Se la mia famiglia viene minacciata io ti odio. Il terzo passo è la violenza. Io ti attacco prima che tu faccia del male a me. Questa è l’attualità della tragedia di Srebrenica: paura, odio e violenza. Questa la chiave per leggere il presente in Europa. Non va dimenticato che il conflitto in Bosnia non è stato religioso ma è la religione che è stata strumentalizzata. Se la guardiamo dal punto di vista religioso a Srebrenica più di 8mila musulmani sono stati massacrati da cristiani ortodossi. Alcuni dei quali, gli estremisti serbi, combattevano fieramente con la croce sul petto. Le religioni nel loro significato più autentico portano pace, ma quando vengono usate, strumentalizzate, per creare il nemico e ottenere consenso, qualsiasi religione perde la propria identità. Non è più fede ma diventa un’arma pericolosa da una parte e dall’altra. In tempi dove si generalizza dicendo che tutti i musulmani sono terroristi, credo che questa autocritica dell’Occidente, su quanto è avvenuto a Srebrenica, possa essere utile.