«I respingimenti apice della disumanità»

intervista con Mattia Ferrari di Agnese Palmucci

Parla il sacerdote che assiste la Ong Mediterranea, ora sotto tutela per le minacce ricevute a causa del suo impegno per i disperati in mare. Don Mattia è stato ospite di Segni del tempo.

 

La voce di don Mattia si fa più intensa quando parla di Sami. «Mi è capitato da poco di dare una benedizione in videochiamata a un ragazzo di trent’anni, torturato a morte in un lager libico», racconta al telefono nell’ora di pausa tra le lezioni. Da ottobre dell’anno scorso studia Scienze sociali all’Università Gregoriana di Roma. «Quando le milizie hanno capito che stava morendo lo hanno buttato fuori dal campo di lavoro. Lui era cristiano e i suoi amici mi hanno chiamato perché voleva essere accompagnato con la preghiera. Lo guardavo, aveva un viso distrutto». Don Mattia Ferrari ha 28 anni, è assistente diocesano dell’Acr di Modena e dal 2018 ha detto sì a Mediterranea Saving Humans, nel servizio come cappellano della piattaforma umanitaria italiana. Nel 2019 è stato per due volte a bordo della nave Mare Jonio, la barca della Ong che salva i migranti in mare. Ha partecipato come relatore nel mini convegno di Segni del tempo sul tema delle città “crocevia di popoli”. 

Prima di arrivare a Mediterranea, però, riavvolgiamo il nastro. Nato a Sassuolo, seminario a Modena, diventato sacerdote quattro anni fa. Se pensa agli anni dell’adolescenza, quali sono state le esperienze che hanno iniziato a raccontarle chi era?

Sicuramente una di queste è stata frequentare il liceo classico statale a Modena. Ho avuto occasione di conoscere compagni, professori, collaboratori scolastici provenienti da altre culture e religioni. Se ci penso è stato il primo incontro profondo con la complessità della società, in cui ho sperimentato la bellezza del camminare insieme con tutte le persone di buona volontà.

Le passioni più grandi? 

Io sono cresciuto in parrocchia, avevo il mio gruppo giovani. Da ragazzo, la passione che sentivo più forte dentro era la spinta a vivere la fraternità con gli altri, soprattutto con i più bisognosi. La scelta di entrare in Seminario è stata frutto di un cammino lungo. Diciamo che sono arrivato alla decisione finale in quinto superiore, prima con l’esperienza della morte di uno dei miei migliori amici per un attacco epilettico, e, pochi mesi dopo, c’è stato l’incontro con uno dei miei più grandi maestri, mons. Loris Capovilla. Lui mi ha trasmesso la passione per Gesù, per una vita vissuta accanto a chi ha bisogno di amore. 

Ora che vive per la prima volta l’esperienza da studente fuorisede, qual è la cosa fondamentale per un giovane che si sposta dalla sua città?

Per chi vive da fuorisede è fondamentale non sentirsi soli, perché nella vita ciò che dà sapore, e che rende felici, sono le relazioni. Anche continuare il proprio rapporto col Signore condividendo la strada con altri è molto importante, perché la fede richiede sempre una dimensione ecclesiale.

Che ci fa un sacerdote in una Ong come Mediterranea?

Io arrivo a Mediterranea attraverso i centri sociali bolognesi Tpo e Làbas, miei amici, che sono stati tra i fondatori. Mi hanno chiamato loro, chiedendo di aiutarli nel rapporto con la Chiesa. Io accompagno gli attivisti che stanno donando la loro vita per salvare gli ultimi del mondo. La presenza del prete a loro serve per capire in profondità l’esperienza che stanno vivendo. Poi certamente il rapporto con i migranti è centrale, sia a bordo della nave Mare Jonio, sia nella relazione a distanza con chi è chiuso nei campi libici.

Che tipo di aiuto riesce a dare a chi è fermo nei centri di detenzione nord africani?

In questo caso, diciamo, faccio il prete “a distanza”. I migranti che arrivano nei campi sono musulmani e cristiani, ma tutti quanti chiedono benedizioni e preghiere. Solo alcuni riescono a mettersi in contatto con noi da dentro, se riescono ad avere i telefoni. Molti rapporti li teniamo con i loro amici che stanno fuori dai lager, e tramite questi poi comunichiamo con i detenuti.

Un’immagine che porta nel cuore dei suoi giorni a bordo della Mare Jonio?

Se posso ne direi due. La prima è quando mi è capitato di essere testimone di un respingimento, di assistere alla nostra Europa che finanzia e coordina, attraverso Frontex, i respingimenti dei migranti. Questo è l’apice della disumanità, il fallimento di ciò che siamo davvero. Poi, l’altra faccia della medaglia è il salvataggio: l’abbraccio tra le persone soccorse e gli equipaggi, che è la realizzazione del sogno di Dio, l’edificazione della civiltà dell’amore.

La nave al momento non è in mare, ma non potrà salire a bordo per un po’...

Sì, perché nel maggio scorso sono stato minacciato sui social. Queste minacce sono arrivate dal portavoce della mafia libica, sull’account Twitter dove vengono pubblicate informazioni per conto della cosiddetta Guardia costiera libica. Hanno pubblicato la mia foto e il mio nome, e mi hanno indicato pubblicamente come nemico, rinfocolati da account misteriosi legati alla mafia maltese e forse all’estrema destra italiana. Comunque la procura di Modena sta indagando e al momento sono sotto tutela dello Stato. 

Il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, ha chiesto al nuovo governo di centrodestra che l’accoglienza e l’integrazione dei migranti siano tra le priorità. A volte la Chiesa non rischia di parlare a vuoto?

La politica ha il compito di promuovere il bene comune, quindi con le istituzioni noi dobbiamo dialogare, di qualsiasi colore essi siano. L’importante è che la Chiesa, e con Francesco questo è molto chiaro, mantenga sempre la sua alterità. La nostra funzione in questo mondo è indicare il regno dei Cieli.

L’esecutivo è per la linea dura sulle attività di salvataggio in mare delle Ong. C’è preoccupazione tra gli attivisti?

Alcune proposte politiche che si sono sentite nei giorni scorsi dalla maggioranza hanno suscitato preoccupazione, sì. Ma certamente noi continueremo con lo stesso atteggiamento di sempre la nostra missione di fraternità. Quando a muovere è l’amore, quando le viscere soffrono per i dolori e le speranze degli ultimi della Terra, allora qualsiasi tentativo di bloccare Mediterranea potrà rallentare l’azione, ma non certo fermarla. 

A Segni del tempo 2000 giovani si sono trovati insieme per costruire l’oggi e il domani della Chiesa. Possono ancora essere profetici i giovani di Ac?

È stata davvero una bella immagine della Chiesa sinodale, della Chiesa come popolo di Dio in cammino nella storia. I giovani di Ac possono e devono essere profetici. Lo sono stati tante volte nella storia del nostro Paese, e anche oggi hanno la possibilità e il dovere di esercitare la profezia, questo ministero, che lo Spirito Santo conferisce alla Chiesa, di portare il Vangelo nelle vicende umane. Così in mezzo alla disperazione, alla depressione, all’angoscia, il Vangelo deve orientare alla speranza. Nelle ingiustizie il Vangelo deve orientare alla giustizia. Bisogna alzare la voce davanti alle ingiustizie.