Scuola e carcere: si può fare
Nella casa circondariale di Velletri la scuola è più di una missione educativa. È riscatto, voglia di scontare la pena con il reinserimento sociale. Agli esami di Stato, tredici studenti hanno ottenuto il titolo di perito agrario, dodici italiani e un marocchino. «Il più anziano – racconta un docente dell’Istituto Agrario referente della sede carceraria della scuola – , 71 anni e una vita spesa nel lavoro dei campi, aveva grandi difficoltà in inglese, italiano e storia. Siamo però riusciti a valorizzare le sue competenze nell’agricoltura e si è diplomato pure lui»
«Ho fatto tanti errori nella mia vita. Ma il più grande è stato abbandonare la scuola. Non immaginavo cosa mi potesse dare»: è la testimonianza di un detenuto raccolta da Antonino Marrari, docente all’Istituto agrario “Cesare Battisti” di Velletri (Rm) e referente della sede carceraria della scuola, attiva da dieci anni presso la locale casa circondariale. A SegnoWeb racconta come si sono svolte le lezioni durante la quarantena per l’emergenza coronavirus: «abbiamo iniziato la didattica a distanza il 20 marzo, molto prima di altre sedi carcerarie, grazie anche all’aiuto e alla lungimiranza del direttore e del responsabile dell’area educativa del carcere, che credono fortemente nell’importanza di formare queste persone e si sono subito attivati per procurare la strumentazione necessaria, dai computer al potenziamento della linea internet. Addirittura l’Ufficio scolastico regionale ha parlato di un “modello Velletri”, da prendere ad esempio per la Dad. Agli esami di Stato, tredici studenti hanno ottenuto il titolo di perito agrario, dodici italiani e un marocchino. Il più anziano, 71 anni e una vita spesa nel lavoro dei campi, aveva grandi difficoltà in inglese, italiano e storia. Siamo però riusciti a valorizzare le sue competenze nell’agricoltura e si è diplomato pure lui». Ai diplomati nel carcere di Velletri, se ne aggiunge uno che, scarcerato a maggio, si è iscritto nella sede centrale della scuola, ha sostenuto lì gli esami e si è diplomato con il voto di 100/100.
Sono un centinaio le persone iscritte all’Istituto agrario nella casa circondariale di Velletri, il 40% stranieri, seguiti da venti docenti e, dal prossimo anno scolastico, si aggiungerà una sezione dell’Istituto alberghiero. Frequentano i corsi serali di educazione permanente agli adulti, organizzata su tre anni di studio, volta a valorizzare le competenze acquisite in precedenza e l’aspetto professionalizzante della scuola. Alcuni proseguono gli studi anche all’Università, grazie a un accordo con l’ateneo di Roma Tre. «Sono capitato per caso in carcere diversi anni fa, però poi ho trovato una situazione molto fertile – prosegue il racconto di Marrari –. Certo, i nostri studenti vanno rimotivati ogni giorno, perché magari la notizia di una nuova condanna li fa cadere nello sconforto e vorrebbero gettare la spugna. Però è una continua emozione accompagnarli nel percorso scolastico. Quando dicono a me o a un altro docente, “il diploma è l’unico successo avuto nella vita, il resto mi ha portato in galera”, proviamo grande soddisfazione. Spesso arrivi al mattino e non trovi gli alunni, perché sono stati trasferiti in altra struttura, hanno ottenuto un beneficio o sono stati mandati in comunità. Dopo mesi di lavoro insieme, dispiace aver “perso” un alunno, ma siamo felici se veniamo a sapere che sta continuando gli studi in un altro istituto di pena. Tra l’altro, noi insegnanti non sappiamo per quali reati sono in carcere. Sono loro che, spesso dopo anni, ci raccontano la propria storia. Noi li trattiamo semplicemente come persone, separiamo l’individuo dalla sua colpa».
Oltre alla sezione per detenuti comuni, nell’anno scolastico 2019-2020, nel carcere di Velletri è stato attivato per la prima volta un corso per i cosiddetti “detenuti protetti”, accusati magari di violenze sulle donne o su minori o collaboratori di giustizia. «Vivendo in un regime di chiusura e non potendo incontrare gli altri – spiega Marrari –, finora potevano frequentare solo fino alla licenza media. La legge però afferma il diritto allo studio per tutti e quest’anno si sono iscritti in trenta. Sono persone con cui siamo convinti di poter ottenere dei risultati».
Se abbassare la recidiva è uno degli obiettivi di docenti e amministrazione del carcere, attraverso proposte formative per i detenuti, che spesso passano le giornate senza fare nulla o in alcuni casi sono convinti di non poter fare altro nella vita che delinquere, un altro scopo fondamentale è aiutarli a reinserirsi velocemente nel mondo del lavoro. Ciò però incontra un forte ostacolo, che Antonino Marrari vuole denunciare: «c’è un’azienda agraria all’interno del carcere, con vigne, ulivi, serre di fiori e abbiamo raggiunto grandi risultati con i ragazzi che vi hanno lavorato. Stiamo presentando un progetto per la realizzazione di un panificio interno al carcere e presto riattiveremo un confetturificio già esistente. Però, nonostante in questi progetti i nostri studenti si impegnino molto e benché la legge Smuraglia incentivi gli imprenditori ad assumere detenuti ed ex detenuti, molti non lo fanno perché viviamo in una società carica di pregiudizi». «È fondamentale sensibilizzare tutto il mondo del lavoro, magari anche con incontri e convegni dedicati, perché venga data una possibilità per ripartire a queste persone», è l’accorato appello finale dal carcere di Velletri.