Silvia, Antonio e Greta: i volti della buona notizia
I volti che oseremo guardare in questo duemiladiciannove che sta per iniziare sono i sorrisi di Silvia e Antonio, la volontaria rapita in terra d’Africa e il giornalista ucciso a Strasburgo dalla violenza terroristica. E il candore di Greta, la quindicenne con sindrome di Asperger che ogni venerdì salta la scuola per manifestare davanti al parlamento svedese contro il cambiamento climatico. Volti belli, sorridenti, giovani, appassionati della vita e di una libertà che odora di ponti verso il prossimo, l’oltre da noi.
Silvia, Antonio e Greta, ci dicono che la follia della violenza non vincerà, che è giusto non aver paura dell’altro, anche se questo “altro” ci confonde e procura angoscia. E che le battaglie civili si fanno anche senza “far casino”, ma forse proprio per questo più meritevoli di attenzione, in direzione ostinata e contraria.
Silvia, Antonio e Greta ( e le altre 33 persone insignite dell’onorificenza da parte del Presidente della Repubblica per aver reso migliore il nostro paese) sono i nostri ribelli per amore, alfieri di un mondo che non ha paura del domani e di una geopolitica impazzita che avanza furiosamente in una globalizzazione a tratti selvaggia. Migliori di noi. Oltre i tweet, i post, le chat, i whatsapp, persino i selfie. Oltre l’incapacità delle società ricche e secolarizzate a voler riprendere il testimone della speranza senza proclami e promesse irrealizzabili.
Eppure loro, Silvia, Antonio e Greta, ce l’hanno fatta. Per loro stessi, e per noi. Può apparire un controsenso, ma è così. Loro hanno vinto la buona battaglia.
Accogliendo l’altro e il diverso, costruendo ponti per la salvaguardia del creato e il sogno di un’Europa finalmente unita anche nei suoi valori fondanti, come la solidarietà e l’eguaglianza, Silvia, Antonio e Greta, da donne e uomini liberi, hanno messo al centro della propria vita la buona notizia. Sì, quella buona notizia che non è semplice scorgere nelle pagine fragili delle nostre vite o nelle strade virtuali di un mondo ipervitaminizzato che va avanti a colpi di slogan.
In un momento in cui si chiudono giornali e riviste, il bilancio annuale di Reporters sans frontières, organizzazione no-profit che promuove e difende la libertà di informazione e di stampa, ci racconta che l’informazione libera è sempre a rischio. E che c’è assoluto bisogno di questa informazione. Vera, basata sui fatti, non artefatta dalla narrazione della rete globale. Ne sono stati uccisi 80 in giro per il mondo: 63 giornalisti professionisti, 13 giornalisti non professionisti e quattro collaboratori dei media. In totale, secondo Rsf,più di 700 giornalisti professionisti sono stati uccisi negli ultimi dieci anni. E nel 2018 è aumentato anche il numero di giornalisti detenuti: ben 348.
Se l’informazione non sembra più essere tra le prime preoccupazioni del vivere quotidiano (purtroppo!) questo nuovo anno che ci viene a far visita ci pone davanti ai nostri occhi tutto il fardello di desiderare e costruire un’informazione vera, libera, coraggiosa. Orgogliosa della buona notizia.
Che racconti storie vere, come quelle di Silvia, Antonio e Greta.
Noi di Segno nel Mondo ce la metteremo tutta.