Sanremo, più scena che voce. Ma i giovani incantano
Non basta più solo stringere un microfono tra le mani e cantare, bisogna saper dire qualcosa e arrivare alle persone. Il Sanremo ai tempi del Covid si poggia più su esibizioni sceniche che sulla profondità dei testi. Gli artisti provano a indirizzare così i giudizi di un pubblico che si sente lontano, non solo fisicamente, dal teatro Ariston. Non essendoci risonanza immediata nel pubblico in sala, alcuni artisti hanno pensato bene di esibirsi con pompose scenografie come, ad esempio, Gazzè barbuto o lo Stato Sociale con un miscuglio di roba sul palco. È il tratto centrale del secondo Festival di Amedeus: parole e musiche compattate dentro miniclip dal vivo.
Intanto, su un palcoscenico “spaziale” l’orchestra e gli addetti ai lavori non sono più un contorno ma il motivo stesso per cui il Festival è stato accettato dall’opinione pubblica. È soprattutto per loro, duramente colpiti dalla crisi, che il rito ha senso culturale e sociale. Il direttore artistico Amadeus nella scelta dei cantanti ha portato un’ondata di freschezza e di vecchie conferme. Segno che Sanremo vuole sempre più provare a “fare sintesi” tra i diversi generi musicali. Random, ad esempio, è arrivato al Festival grazie alla sua ascesa sui social. Tra le canzoni in gara, c’è più di un pezzo non proprio “sanremese” come quello di Ghemon, che si racconta in modo frizzante e con una leggera autoironia, dimostrando tutta la sua versatilità. Dopo le due prime serate, però, pochi motivetti rimangono. Le tematiche importanti ci sono ma i testi non riescono sempre ad essere all’altezza. C’è sofferenza ma anche leggerezza. A volte troppa leggerezza come nel caso di Aiello che esce troppo fuori dai canoni di Sanremo – e di un paese stanco di eccessi – non cantando ma “sbraitando”. E poi arrivare fino in fondo alla serata è sempre dura. Il format andrebbe snellito di cose inutili per essere ancora di più il Festival della canzone.
Da alcuni testi ed esibizioni arrivano, al di là delle parole, le emozioni di questo ultimo anno tremendo per i cantanti e i performer dal punto di vista artistico e personale. Ci sono sentimenti e risentimenti. Stati d’animo angosciati, ribellione e delusione. Qualcuno ha provato a comunicare leggerezza e positività senza lamentarsi. Esemplari, in questo senso, Colapesce e Dimartino, che hanno omaggiato la musica come “farmaco” nei periodi difficili: «Metti un po’ di musica leggera/Perché ho voglia di niente/Anzi leggerissima/Parole senza mistero/Allegre ma non troppo/Metti un po’ di musica leggera/Nel silenzio assordante per non cadere dentro al buco nero che sta a un passo da noi». C’è però poca poesia, molta prosa e troppa preoccupazione di non dire niente. C’è qualche conferma che fa piacere come Ermal Meta e Malika Ayane. Il primo canta l’amore con eleganza e gentilezza, la seconda con un tocco di disco music e semplicità narra l’accettazione di sé. Mentre i volti nuovi al palco di Sanremo cercano di sorprendere come la diciannovenne Madame che con il pezzo Voce è il simbolo del rinnovamento generazionale e stilistico del festival («sarà la voce ad essere l’unica cosa più viva di me»).
Molto incoraggiante la gara delle “nuove proposte”: da sottolineare e soprattutto da apprezzare i giovani che si mettono in gioco scrivendo i testi delle proprie canzoni: hanno qualcosa da dire e non si nascondono dentro testi standard cuciti su Sanremo.