Per un'economia a servizio dell'uomo
«La politica è adesso più che mai concentrata a reperire moneta destinata a sostituire il lavoro, l’azione, le normali operazioni di cui, in questa singolare situazione, siamo rimasti orfani per forza maggiore. Ma in realtà, mai come in questo momento avremmo avuto bisogno di una politica capace di mettere al centro l’uomo e di ridurre il denaro a una variabile secondaria».
L’economista Pierangelo Dacrema, spiega a SegnoWeb perché è molto critico verso il denaro e il suo strapotere
Non solo salute fisica, ma anche economica e sociale: è questo l’altro pressante interrogativo che ci consegna il Covid 19. Che destino attende i lavoratori, le imprese, le fasce più deboli quando la pandemia sarà, se Dio vuole, un ricordo? Lo chiediamo a un economista che è sempre stato in prima linea nella denuncia dei limiti di un sistema basato solo sulla legge del denaro: Pierangelo Dacrema, professore ordinario di Economia degli intermediari finanziari all’Università della Calabria, autore di numerosi saggi scientifici e divulgativi, convinto che l’economia sia una scienza dello spirito e sostenitore dell’importanza di un capitalismo più umano e svincolato dal dogma della moneta. Tra i suoi libri, uno ha narrato un incontro “impossibile”, quello tra Marx & Keynes. Un romanzo economico pubblicato, nel 2014 da Jaca Book. In questi giorni è uscito il suo assai esplicito, fin dal titolo, Economia del malessere. Perché tutto andrà bene se nulla sarà come prima (All Around).
Professor Dacrema, il governatore della Banca d’Italia, nella sua relazione annuale, ha accennato a Keynes, il “teorico” del new deal di Roosevelt. Era tempo che non si sentiva un chiaro accenno a un fautore dell’intervento statale in campo economico, e per di più da parte del più alto dirigente della nostra banca centrale. Il virus sta cambiando i tempi anche in economia?
Data la situazione, ha fatto bene Visco a evocare Keynes. Purtroppo, però, da molto tempo a questa parte, il grande economista britannico viene rispolverato quando l’emergenza si traduce in un periodo di malessere e disagio talmente insostenibili da diventare un vero e proprio pericolo di “disintegrazione” del sistema. È accaduto anche in occasione della crisi finanziaria del 2007/8, quando anche negli Stati Uniti, culla del liberismo, ci si è convinti dell’indispensabilità di un grande intervento dello Stato per salvare il sistema finanziario. Ma della lezione keynesiana si dovrebbe tener conto in modo ben più sistematico. Aria di crisi, soprattutto nel nostro paese, la si respirava anche prima della sciagura del Covid 19. Il capitalismo è una macchina resistente, flessibile, poderosa. Ne ha dato prova tangibile. Privo di elementi di fascino intrinseco, ha tuttavia l’obbligo, per giustificarsi, di produrre risultati eccellenti, non solo buoni. Lo diceva proprio J. M. Keynes, suo autorevole difensore. Che, però, ne sono certo, avrebbe ferocemente criticato la sua versione attuale.
Quali saranno, a suo avviso, le conseguenze della pandemia sulla nostra economia? Già il titolo del suo nuovo libro, Economia del malessere. Perché tutto andrà bene se nulla sarà come prima, anticipa lo scenario di cambiamenti radicali..
Le conseguenze si preannunciano gravi, e temo che lo saranno davvero. Il virus ha (solo) peggiorato una situazione di per sé incresciosa. E ha ulteriormente sottolineato la necessità di trovare uno sbocco diverso, meno condizionato dalla moneta e dal sistema finanziario, ai processi del capitalismo moderno, una macchina che da lungo tempo macina ingiustizie a tutto spiano.
In che cosa, a suo avviso, dovrà cambiare il modo di vivere quotidiano nel dopo-Covid?
Reputo probabile un ripristino relativamente veloce della normalità precedente. Sarebbe però sbagliato trascurare che tale normalità era apprezzabile per alcuni, solo accettabile per molti, insostenibile per tanti altri. Sarebbe inoltre deplorevole che ci si occupasse solo della nuova indigenza senza prestare attenzione a quella preesistente (sarebbe un po’ come aver abolito la pena di morte, da un certo momento in poi, senza preoccuparsi della sorte ormai segnata dei condannati in attesa dell’esecuzione).
Se lei potesse fare un appello ai politici di tutto il mondo, che cosa chiederebbe a livello assolutamente prioritario?
Ai politici di tutto il mondo chiederei di fare ciò che avevano promesso di fare all’indomani della crisi del 2007/8, e che poi non fecero: una nuova Bretton Woods per discutere a livello planetario del problema della moneta. Come noto, nel luglio del 1944, 730 delegati di 44 nazioni si riunirono a Bretton Woods (New Hampshire) allo scopo di dare un riordino al sistema finanziario internazionale squassato dalla seconda guerra mondiale. Fu una conferenza da cui Keynes uscì sconfitto. La sua proposta del bancor, una valuta che preludeva a un’unificazione monetaria mondiale, non venne accolta: vinse il dollaro, la moneta della superpotenza vincitrice. Ebbene, sono convinto che discutere di banche, moneta ed economia ad altissimo livello sarebbe estremamente utile per dar vita a un modello economico-sociale più umano, meno cinico di quello attuale.
Ci può anticipare in poche parole il contenuto del suo nuovo libro?
Saremmo morti di fame se non avessero funzionato agricoltura e trasporti, saremmo stati sterminati dal contagio se non ci fossero stati medici e infermieri pronti ad accudirci, curarci. Accanto al disastro sanitario, quello economico. Si sta cercando di arginarlo con i modi e i mezzi che conosciamo: strumento principe la moneta, il simulacro del lavoro, nulla più dell’immagine dei fatti e dei gesti di cui si vive. La politica – anch’essa ridottasi a immagine – è adesso più che mai concentrata a reperire moneta destinata a sostituire il lavoro, l’azione, le normali operazioni di cui, in questa singolare situazione, siamo rimasti orfani per forza maggiore. Ma in realtà, mai come in questo momento avremmo avuto bisogno di una politica capace di mettere al centro l’uomo e di ridurre il denaro a una variabile secondaria.